Chi siamo

La nostra storia

Immerso nella Val d’Illasi, posto come porta est di accesso alla Lessinia , Palazzo Fritz , a metà strada tra città e montagna,
diventa l’ appoggio strategico per chi vuole godersi tutto del nostro territorio: trekking, mountain bike e corsa nei luoghi incontaminati della Lessinia,
passeggiate tra i negozi e scorci di Verona, Soave e il lago di Garda, visite a fattorie sociali, aziende agricole a kilometro zero, oltre ai musei antropici e naturali della Lessinia.
Nostra premura è di accogliere le persone in modo famigliare a 360 gradi, per questo pensando anche al palato sapremo consigliare luoghi di antichi sapori,
dove la cucina è fatta da chi è nato e cresciuto in questa terra, che saprà soddisfare qualsiasi palato.

Palazzo Fritz, prende il nome dall’omonimo sacerdote divenuto poi Monsignore Pietro Fritz nato a Badia Calavena (1883-1946). Caratterizzato dal suo impegno per i giovani a lui si devono la costruzione della “Chiesa di S. Giuseppe” a Borgo Venezia, la “Casa di San Giuseppe”in via Montorio a Verona che accoglieva orfani e poveri e l’ “Istituto Povere Fanciulle” in via Antonio Badile che accoglieva orfane e ragazze in difficoltà. Proprio legato a questo istituto nasce Palazzo Fritz

L’ edificio fu costruito all’ inizio del novecento, tra il 1920 e 1925, si presenta con una forma compatta ed è caratterizzato da un angolo smussato a sud- ovest su cui insiste un balcone tra due immagini sacre che compongono “I’ Annunciazione”, l’Arcangelo Gabriele a sinistra e la Madonna a destra.

Palazzo Fritz, prende il nome dall’omonimo sacerdote divenuto poi Monsignore Pietro Fritz nato a Badia Calavena (1883-1946). Caratterizzato dal suo impegno per i giovani a lui si devono la costruzione della “Chiesa di S. Giuseppe” a Borgo Venezia, la “Casa di San Giuseppe”in via Montorio a Verona che accoglieva orfani e poveri e l’ “Istituto Povere Fanciulle” in via Antonio Badile che accoglieva orfane e ragazze in difficoltà. Proprio legato a questo istituto nasce Palazzo Fritz

L’ edificio fu costruito all’ inizio del novecento, tra il 1920 e 1925, si presenta con una forma compatta ed è caratterizzato da un angolo smussato a sud- ovest su cui insiste un balcone tra due immagini sacre che compongono “I’ Annunciazione”, l’Arcangelo Gabriele a sinistra e la Madonna a destra.

Delle decorazioni, eseguite con I’ antica tecnica del graffito si estendono su tutta I’ ampia fascia  del sottogronda, alternano motivi floreali ad iscrizioni latine. Le due grandi centrali riportano: “non habemus hic manentem civitatem, sed futuram iniquirimus“ (non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura)

Da questo principio si intende: la vita non termina qui: <<non habemus enim hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus>> tutto sulla terra è ordinato alla conquista del Paradiso.

Le altre due iscrizioni si trovano su specchiature minori: “in fide, et lenitate“ (con fede e mansuetudine).
Il termine “fide”, oltre che come “fede”, può essere valutato come “fiducia”. La parola “lenitate”, accanto al significato di “mansuetudine”, ha anche quello di “pazienza”.

Palazzo Fritz, una storia antica

Una piccola nicchia-capitello con Cristo in Croce è invece sita al piano terra e ricorda ai cittadini di Badia Calavena la Fede a Cristo e la devozione all’originale capitello posto sulla sponda del Progno

.

Le Grate metalliche robuste, lavorate artigianalmente con motivo decorativo a scacchiera, sono presenti in tutte le aperture del piano terra, hanno fatto nascere il nostro logo.

Le 4 fasi vanno compiute in giornata, come I’ affresco. li giorno dopo I’ intonaco è secco e non si può più lavorare.

Il graffito (o sgraffito) è un genere di pittura che attinge molto dalla tecnica dell’ affresco. La tecnica consiste:

  • stendere un mano di “velo”, usando malta di calce e sabbia, mischiata con “paglia bruciata” macinata. Oggi si possono sostituire alla paglia bruciata la terra di colonia, la terra gialla, la terra rossa o altro colore. In pratica si deve stendere un intonaco colorato con tono essenzialmente scuro.
  • Stendere una o due mani di latte di calce.
  • Spolverare il cartone su cui è disegnata e punteggiata la decorazione.
  • Con ferri di varia forma si comincia a graffiare il muro scoprendo il colore scuro sottostante al bianco.

Il Vasari ne ‘Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani’ così la descrive: ‘Hanno i pittori un’altra specie di pittura, ch’è disegno e pittura insieme, e questo si domanda sgraffito e non serve ad altro che per ornamenti di facciate di case e palazzi, che più brevemente si conducono con questa spezie e reggono alle acque sicuramente. Perché tutti i lineamenti, invece di essere disegnati con carbone o con altra materia simile, sono tratteggiati con un ferro dalla mano del pittore. Il che si fa in questa maniera: pigliano la calcina mescolata con la rena ordinariamente, e con la paglia abbruciata la tingono di uno scuro che venga in mezzo colore che trae in argentino, e verso lo scuro un poco più che tinta di mezzo, e con questo intonicano la facciata. E fatto ciò e pulita col bianco della calce di travertino, la imbiancano tutta, et imbiancata ci spolverano su i cartoni, o vero disegnano quel che ci vogliono fare. E di poi agravando col ferro, vanno dintornado e tratteggiando la calce, la quale essendo sotto di corpo nero, mostra tutti i graffi del ferro come segni di disegno … E questo è il lavoro, che per essere del ferro graffiato, l’hanno chiamato i pittori sgraffito.’

La moda dei lavori grafici sulle facciate ebbe un ruolo importante in inghilterra con il movimento Arts and Crafts, a Vienna con la Secessione viennese ed in Italia con il Liberty.